Poggi (Agidae): Così abbiamo eretto un muro a protezione delle strutture
CATANZARO – “Le associazioni finora sono state coese nel difendere gli anziani ricoverati. Questo muro eretto a protezione delle nostre strutture sanitarie e socio-sanitarie ha dato ottimi risultati e per questo dobbiamo ringraziare i nostri collaboratori che hanno saputo rivedere completamente i loro completamente esterni”. A parlare è Massimo Poggi, referente calabrese dell’associazione Agidae, molto vicina ad Uneba, e legale rappresentante di “Vivere insieme” e a capo di un gruppo che comprende anche Medical Sport Center e Aie, una realtà importante nel comparto sanitario che, in varie zone della regione, impiega circa 600 dipendenti, la quasi totalità dei quali (circa il 90 per cento) assunti a tempo indeterminato (e per circa il 75 per cento sono donne).
E’ lui a svelare un retroscena, che la dice lunga sul rischio che si è sfiorato in piena emergenza Coronavirus. “Non abbiamo più accettato ricoveri che avrebbero potuto metterci in pericolo. Abbiamo addirittura rischiato una denuncia perché un mio direttore sanitario ha avuto il coraggio di dire no al rientro in struttura di una paziente che era stata in ospedale, al Pugliese Ciaccio di Catanzaro, passando attraverso il pronto soccorso proprio la sera in cui fu rilevato il primo caso di contagio in Calabria, a meno che la stessa paziente non fosse risultata negativa al doppio tampone. C’è stata una diatriba – racconta Poggi - che si è protratta una settimana ma alla fine il primario che voleva imporre alla mia responsabile sanitaria quel ricovero dovette cedere a quella che poi è diventata una regola. Perché ci siamo fatti sentire tutti insieme come associazioni di categoria”. Il no era ovviamente a un ricovero a rischio contagio in quanto le strutture accolgono persone anziane e con patologie, le più fragili e le più esposte al “mostro”. Sarebbe stato come accendere un cerino in un pagliaio e quell’episodio ha fatto da apripista in Calabria in termini di buone prassi. Del resto, spiega Poggi, “abbiamo bloccato i ricoveri, salvo dovuti accorgimenti, già a fine febbraio”. L’episodio che racconta, invece, è datato 12 marzo. A svelarlo è uno che, “da buon padre di famiglia”, ha inviato, lo scorso 7 marzo, un videomessaggio a tutti i suoi collaboratori “ai quali abbiamo chiesto di condurre una vita casa e lavoro, raccomandando loro che chi fa questo mestiere può essere portatore di una bomba micidiale che se scoppiasse in un'unica struttura potrebbe provocare una strage”. Ecco perché mascherine, guanti, sterilizzanti all'ingresso delle strutture e massime precauzioni erano una regola “prima che venissero successivamente raccomandate dal Ministero. In un certo senso – dice con soddisfazione - abbiamo anticipato i tempi e questo fino ad oggi ha anche pagato”.
Le società del gruppo Poggi gestiscono Rsa e case protette per pazienti non autosufficienti e non assistibili a domicilio. A guidarci in un viaggio nelle strutture, con particolare riferimento alle misure anti contagio, è Lucia Ferrari, responsabile dell’area psico-socio-educativa.
“Fin da subito – spiega – abbiamo attuato misure di prevenzione e sicurezza sia nei confronti del personale dipendente che opera in servizio che nei confronti dell'utenza. Siamo stati tra i primi a recuperare le mascherine e a fare formazione sulle distanze di sicurezza e l’igienizzazione di tutti gli ambienti e abbiamo iniziato a limitare l’accesso dell’utenza esterna pur consapevoli dell’importanza terapeutica delle visite dei familiari. Inizialmente si consentiva l’accesso a un solo familiare su autorizzazione della direzione sanitaria – racconta ancora – ma man mano che la situazione diventava sempre più delicata abbiamo deciso di bloccare le visite per scongiurare la possibilità che dall'esterno si introducesse una fonte di contagio”.
Tutto ciò senza dimenticare l’importanza del fattore umano.
“Abbiamo salvaguardato i momenti d'incontro con le famiglie tramite un servizio di videochiamate gestito dagli educatori professionale tramite tablet, con possibilità di prenotare la chiamata in orari stabiliti. Il feedback è stato molto positivo soprattutto da parte dei pazienti che magari vedono, tramite tablet, un loro nipote riscontrando quella vicinanza affettiva che fisicamente non possono aere in questo periodo”.
E ancora, “essendo questo il periodo che precede la Pasqua abbiamo pensato di realizzare le attività socio-psico-educative come si fa ogni anno, facendo sì che attraverso la televisione si potessero seguire le funzioni religiose e in occasione della domenica delle Palme abbiamo fatto lavoretti che richiamano questa tematica, con l’invio anche di biglietti di augurio da rivolgere ai propri cari. Insomma – racconta ancora – abbiamo fatto in modo che la quotidianità degli ospiti non venisse stravolta pur nel rispetto delle misure necessarie”.
Intanto, è in programmazione la sottoposizione a tampone per tutto il personale che opera nelle strutture, su indicazione di un elenco alle Asp di riferimento da parte di ciascun direttore sanitario.
Parliamo di un arcipelago di strutture. Ecco l’elenco. San Francesco Hospital a Martelletto, Villa Sant’Elia a Marcellinara, San Vito hospital a Montauro, Villa Mariolina a Montauro, Madonna delle Grazie a Filadeflia, Istituto Santa Maria del Soccorso a Serrastretta, Villa Torano a Torano Castello, Don Milani a Lungro, Padre Giuseppe Moscati a Sersale, Rsa Spezzano Albanese e Rsa Motta Follone, Madonna di Porto a Gimigliano. In tutte queste strutture la sicurezza è la parola d’ordine. “Abbiamo compiuto salti mortali, date le difficoltà nel reperire mascherine ed essendo lievitato il costo, per farle avere nei tempi opportuni al personale – racconta ancora Ferrari – abbiamo tappezzato tutte le strutture di modulistica con le indicazioni per contenere il contagio e le informazioni ai lavoratori sulle modalità di accesso dell’utenza e le norme di igienizzazione e sanificazione. I lavoratori sono sottoposti a continua formazione da parte del direttore sanitario”. Previsti anche ambienti di isolamento in caso necessità con appositi percorsi Covid autonomi.
Tutto ciò per poter continuare ad erogare in condizioni di sicurezza l’assistenza medico-infermieristica, psicologica e sociale, le attività di animazione curate da educatori professionali, il lavoro di fisioterapia per il recupero e mantenimento delle abilità motorie. I pazienti provengono non solo dagli ospedali ma anche dal domicilio o da altre strutture e oltre a quelli accolti in regime di convenzione col Servizio sanitario sono disponibili posti in regime privato.
Come è cambiata la degenza ai tempi del Coronavirus?
La psicologa Ferrari parla di “uno stato d'animo che accomuna pazienti abituati al collegamento con l'esterno in strutture non certo intese come i vecchi ospizi, luoghi chiusi o di parcheggio dove si va a morire, ma aperte al territorio grazie agli scambi con scuole e associazioni di volontariato”. Ferrari ricorda in tal senso un progetto come “La valigia dei ricordi” o la mostra etnografica. La sfida professionale adesso è “superare le barriere fisiche anche attraverso la tecnologia”. Ma anche attraverso il fattore umano, spiega la psicologa, accennando ai flash mob con i cartelloni con la scritta “Andrà tutto bene” che poi sono “un messaggio di speranza da rivolgere alle famiglie”.