Equità di accesso ai servizi, Calabria fanalino di coda

ROMA - Il Servizio sanitario nazionale si basa su tre principi: universalità dell’assistenza, equità d’accesso ai servizi, solidarietà anche di carattere fiscale per finanziare il sistema. Ma le cose ancora non vanno come dovrebbero e Salutequità, laboratorio italiano per l’analisi, l’innovazione e il cambiamento delle politiche sanitarie e sociali, lo ha sottolineato dalla sua nascita in piena pandemia, evidenziando più volte, nei suoi Report, le criticità del sistema e le possibili soluzioni. Ad esempio se per il prossimo anno è vero che potremo contare su 134 miliardi di finanziamento per il Ssn, l’Ufficio parlamentare di bilancio però, nell’analisi della Legge di bilancio in corso di approvazione, ha già avvertito che «per il 2024 non si può escludere che l’insieme delle misure implichi una maggiore spesa superiore all’incremento del finanziamento». Esistono inoltre differenze regionali di finanziamento della sanità.
Nel 2021 il finanziamento effettivo pro-capite medio è stato pari a 2.072,8. Agli estremi l’Emilia-Romagna con 2.227,6 e la Regione Calabria con 1.925,7 (Fonte: 18°Rapporto Sanità, Crea Sanità). E i determinanti sociali della Salute come livello di istruzione, reddito e occupazione pesano nel riparto del Fondo Sanitario Nazionale solo per lo 0,75%. A fronte di 134 mld di euro di finanziamento del Ssn per il 2024, il monitoraggio e la valutazione della garanzia dei Lea da parte delle Regioni viene effettuato con soli 22 indicatori core previsti dal Nuovo sistema di garanzia (Nsg) dei Lea. Anche la capacità di spesa per investimenti è molto differenziata: gli investimenti pro capite degli enti sanitari nel 2021 passa dai 72 euro del Trentino-Alto Adige, ai 18 della Campania, ai 13 euro della Calabria. Nonostante ciò, sono 10,4 MLD di euro le risorse non ancora utilizzate per la sottoscrizione degli accordi previsti dall’art. 20 della L. 67/1988, anche in questo caso con profonde differenze tra le Regioni.
E mancano all’appello circa 20-30.000 medici (soprattutto medici di medicina generale e alcuni specialisti in determinate specialità) e 65.000 infermieri, tra cui gran parte anche dei 20.000 infermieri di famiglia e comunità per l’attuazione della riforma del territorio (DM 77/2022) prevista dal Pnrr, come dichiarato dalla Corte dei conti a fine 2022. Molto diversa, comunque, la distribuzione degli organici nelle Regioni italiane. Per i medici si va dai 2,64 della Valle d’Aosta per mille abitanti, 2,56 della Sardegna, 2,34 della Toscana e della Liguria agli 1,50 del Lazio, 1,51 della Lombardia, 1,63 del Veneto e 1,64 del Molise. Per gli infermieri si va dai 6,94 per mille abitanti del Friuli-Venezia Giulia, 6,70 della Liguria, 6,34 dell’Emilia-Romagna e di Bolzano ai 3,33 della Campania, 3,65 della Sicilia, 3,83 della Calabria e 3.93 del Lazio
Il risultato è che nel 2022 è saltata circa 1 prestazione di specialistica ambulatoriale su 10 rispetto al 2019. Quasi 3,4 milioni di prime visite in meno (-15,5%) e oltre 5,5 milioni di visite di controllo in meno (17%). Inoltre, nel 2021 persi 1 milione e 200 mila ricoveri rispetto al 2019. Anche la rinuncia alle cure ha visto un’impennata negli anni della pandemia arrivando all’11% del 2021, quasi il doppio rispetto al 2019. Nel 2022 la rinuncia alle cure si attesta a circa il 7%, con una diffusione lungo tutta la penisola e per tutte le fasce di popolazione più e meno ricche. L'accesso all’innovazione anche diventa un percorso ad ostacoli. Secondo i dati prodotti da Iqvia, l’Italia impiega 429 giorni per garantire la disponibilità dei farmaci ai pazienti dal momento l'autorizzazione europea. Se la media europea è pari a 511 giorni, alcuni Paesi come Svizzera, Danimarca e Germania hanno tempi di accesso più ridotti rispetto all’Italia: 191 giorni, 176 e 133.
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