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Covid, nelle Rsa minore impatto e con pochi sintomi nella seconda ondata


ROMA - Con la seconda ondata, nelle Rsa, ci sono stati meno decessi, meno sintomi - e più lievi - rispetto a marzo. Gli anziani che vivono nelle strutture residenziali sono particolarmente fragili e hanno un rischio più elevato di infezioni da coronavirus. E spesso queste strutture occupano un ruolo marginale nelle agende di programmazione sanitaria istituzionale. Ma la dura lezione imparata in primavera sta rendendo meno drammatico l’impatto nelle Rsa della seconda ondata. E’ la sintesi di uno studio multicentrico osservazionale GeroCovid Rsa della Società italiana di gerontologia e geriatria (Sigg), realizzato in 59 strutture di 6 Regioni

I primi dati, aggiornati all’8 novembre e presentati in occasione del Congresso nazionale Sigg, indicano che durante la seconda ondata sono state messe in atto quasi ovunque le procedure di sicurezza per il contenimento del contagio, tanto che casi di Covid-19 sono stati registrati soltanto in 9 strutture su 59 e la mortalità tra i residenti affetti da Covid è risultata relativamente contenuta. Dall’analisi sulle 9 Rsa con residenti positivi al virus è emerso che gli anziani con Covid-19 manifestano pochi sintomi: solo il 29% sviluppa febbre alta, appena il 20% ha difficoltà respiratorie e non ci sono stati casi di mancanza di gusto e olfatto.

"Il progetto GeroCovid, unico in Europa - spiega Raffaele Antonelli-Incalzi, presidente Sigg - è uno studio multicentrico osservazionale, nato in primavera allo scopo di raccogliere dati sull'impatto della pandemia da Covid-19 sulla salute degli anziani nelle diverse situazioni assistenziali, grazie al supporto gratuito di Blu Companion France che ha realizzato un’infrastruttura tecnologica che consente l’immissione e l’archiviazione diretta dei dati, in assoluto anonimato e sicurezza. Nel quadro di questo studio è partita l'indagine GeroCovid Rsa, avviata quando si moltiplicavano i casi delle Rsa travolte dall’emergenza, censite a maggio dall’Istituto superiore di Sanità in un rapporto nazionale sul contagio da Covid, alla luce di un questionario su base volontaria"."La nostra ricerca, invece - precisa il presidente Sigg - ha monitorato l’andamento reale del contagio negli anziani arruolati tra marzo e maggio, per valutare la concreta efficacia delle pratiche anti-Covid sulla prevenzione e individuare i sintomi sentinella che possano consentire una diagnosi precoce. I dati analizzati, da marzo scorso fino all’8 novembre, riguardano 59 strutture residenziali di 6 Regioni: Calabria, Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana e Veneto, per un totale di 430 anziani Covid o sospetti Covid. Il risultato più rilevante che emerge dalla ricerca è che molti contagiati hanno pochi sintomi, con un tasso attuale di letalità del 19,2%, più elevato con l’età più avanzata e in caso di malattie come ipertensione e depressione".

Questi dati preliminari, osserva Antonelli-Incalzi, "indicano che all’interno delle strutture residenziali la trasmissione del Covid-19 è per lo più con pochi sintomi e abbastanza lievi. Ciò suggerisce che lo screening basato sui sintomi in questa popolazione potrebbe non riuscire a identificare precocemente i residenti affetti da Covid-19. Tutti i residenti e il personale delle strutture dovrebbero, quindi, essere sottoposti a periodica sorveglianza virologica, indipendentemente dal fatto che presentino o meno sintomi tipici da Covid-19" I dati sull'applicazione delle norme anticontagio, relativi alle 59 strutture arruolate, indicano che la maggioranza ha messo in atto le procedure di sicurezza: in 8 casi su 10 vengono utilizzate ovunque le mascherine chirurgiche e il distanziamento fisico, sono vietate le visite e limitate le procedure specialistiche non necessarie, vengono misurate ogni giorno temperatura e saturazione di ossigeno e sono state create aree apposite per l’isolamento dei positivi.

Nell’88% delle strutture, inoltre, si sono promosse modalità di comunicazione alternative per garantire contatti regolari con i parenti all’esterno attraverso videochiamate, chiamate Skype o Facetime, per ridurre l’isolamento e migliorare il benessere degli ospiti. Meno frequente la sorveglianza virologica di residenti e staff, presente rispettivamente nel 54% e nel 61% delle Rsa. "Abbiamo valutato con particolare attenzione le 9 Rsa di Lazio, Lombardia, Toscana e Veneto dove si sono registrati i casi di Covid-19, verificando che le percentuali di positività al virus sono molto variabili", spiega Alba Malara dell’Associazione nazionale strutture Terza Età (Anaste) di Lamezia Terme (Catanzaro), coordinatrice dello studio.

"I dati - continua - indicano che si va da un caso nel Lazio, in cui il contagio è rimasto confinato a un solo operatore sanitario e nessun residente, a una Rsa lombarda in cui il 59% dello staff è risultato positivo contro appena il 5% dei residenti, fino a situazioni in cui il 43-46% degli ospiti è rimasto contagiato assieme al 18-22% degli operatori. Solo il 29% dei residenti Covid-19 positivi ha avuto una febbre oltre 37,5°C, il 19% ha avuto difficoltà respiratorie (ma anche in questo caso il 54% aveva una saturazione di ossigeno nel sangue superiore al 94%); nessuno ha presentato la perdita di gusto e olfatto".

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